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3 gennaio, 2019

Anche l'Unione Europea riconosce il diritto di conciliazione vita-lavoro

Lo scorso settembre l'Unione Europea ha approvato, con una votazione di 443 deputati a favore, 123 contrari e 100 astensioni, la risoluzione per una conciliazione vita-lavoro definendola finalmente come un diritto.

Si tratta finora della più concreta risposta comunitaria alla sfida demografica, consistente nel rifiuto degli stereotipi di genere a favore di una più curata e attenta equità di genere in termini di ripartizioni d’incarichi e compensi.

Con più di trenta premesse e quasi settanta raccomandazioni presenti nel documento, quindi, Strasburgo espone i punti cardine di quella che vuol essere una riforma graduale dello stile occupazionale dei diversi nuclei familiari, mirata questa a raccogliere un insieme di variabili che vanno dalla nascita dei figli fino all'assistenza alla parentela anziana. Dovranno esserci quindi iniziative comunitarie, legislative e non, volte al congedo genitoriale, all'assistenza familiare, alla fornitura di care services per bambini, anziani e persone affette da disabilità, il tutto con un focus particolare sull'accessibilità dei servizi, sulla loro qualità e, soprattutto, sulla loro particolare sostenibilità economica.

E' un punto di svolta importante circa la consapevolezza della necessità di una ridistribuzione più coerente e umana possibile di tempistiche e delle remunerazioni lavorative.

Tanto che è la stessa Confederazione delle organizzazioni familiari nell'Unione Europea, che conta 54 membri in 23 Paesi differenti, ad accoglierla molto volentieri, dichiarando come questa "rappresenti un passo importante nel rispondere alle esigenze delle famiglie e degli individui in Europa ed esprima un chiaro impegno politico del Parlamento Europeo a lavorare per sostenere le famiglie in tutta l'UE".

L'intera Unione Europea è infatti alle prese con "sfide demografiche senza precedenti, alle quali gli Stati membri dovrebbero far fronte", tali da aver trasformato "gradualmente l'Unione in una società gerontocratica" e costituito "una minaccia diretta alla crescita e allo sviluppo dal punto di vista sociale ed economico". E' quindi un dato di fatto che "le politiche a favore della famiglia sono essenziali per innescare tendenze demografiche positive" e che "le politiche da attuare per conseguire tali obiettivi devono essere moderne, incentrarsi sul miglioramento dell'accesso delle donne al mercato del lavoro e sull'equa ripartizione tra donne e uomini delle responsabilità domestiche e di cura".

Le premesse non sono delle migliori: più della metà dei partecipanti al sondaggio ha dichiarato di lavorare durante il tempo libero, uno su tre affermano di veder cambiare sistematicamente il proprio lavoro, anche con pochissimo preavviso. Inoltre dal report viene fuori che mentre per gli uomini la settimana di lavoro retribuita risulta essere di 47 ore lavorative, per le donne si abbassa a 34 ore retribuite a cui si sommano più o meno altre 17 ore a settimana in cui si lavora fuori orario senza retribuzione, per un totale di 64 ore. Altri dati preoccupanti sono quelli che vedono non meno del 34% delle madri sole a rischio povertà e un misero 10% di padri avvalersi del congedo parentale.

Il documento della Comunità Europea si concentra poi sulle raccomandazioni, affermando che "la conciliazione tra vita professionale, privata e familiare deve essere garantita quale diritto fondamentale di tutti, con misure che siano disponibili a ogni individuo, non solo alle giovani madri, ai padri o a chi fornisce assistenza" e "chiede l'introduzione di un quadro per garantire che tale diritto rappresenti un obiettivo fondamentale dei sistemi sociali e invita l'UE e gli Stati membri a promuovere, sia nel settore pubblico che privato, modelli di welfare aziendale che rispettino il diritto all'equilibrio tra vita professionale e vita privata".

E' altresì presente un invito alle parte sociali per chiedere la presentazione di "un accordo su un pacchetto globale di misure legislative e non legislative concernenti la conciliazione tra vita professionale, privata e familiare", con la richiesta di presentare "una proposta relativa a tale pacchetto nel programma di lavoro della Commissione per il 2017 nel contesto dell'annunciato pilastro europeo dei diritti sociali".

E' in particolare sui congedi che si focalizza poi il Parlamento, chiedendo alla suddetta Commissione "di avanzare una proposta ambiziosa corredata da norme di alto livello, collaborando strettamente con le parti sociali e consultando la società civile, onde assicurare un migliore equilibrio tra vita privata e vita professionale", tenendo bene a mente che "un migliore accesso a differenti tipologie di congedo fa sì che le persone dispongano di formule di congedo rispondenti alle varie fasi della vita e incrementa la partecipazione all'occupazione, l'efficienza complessiva e la soddisfazione professionale".

Entrando nello specifico, la volontà è quella di estendere la durata minima del congedo parentale portandola dagli attuali quattro agli auspicati sei mesi, di integrare due settimane di congedo di paternità obbligatorio e interamente retribuito, di stabilire un "congedo per i prestatori di assistenza" che abbia flessibilità e bonus "sufficienti a indurre anche gli uomini ad avvalersene" e, in ultimo, ad elargire "crediti di assistenza" per donne e uomini mirati alla maturazione dei diritti pensionistici.

Un altro punto fondamentale della risoluzione europea consiste nell'esplicito riconoscimento delle cooperative come un modello gestionale, definite addirittura "un enorme potenziale in termini di avanzamento della parità di genere e di un sano equilibrio tra vita privata e vita professionale, in particolare nell'emergente contesto digitale del lavoro agile, alla luce dei maggiori livelli di partecipazione dei dipendenti al processo decisionale".
Ed è per questo motivo che, come riportato nel documento, si "invita la Commissione e gli Stati membri a esaminare l'impatto delle cooperative e dei modelli imprenditoriali alternativi sulla parità di genere e sull'equilibrio tra vita privata e vita professionale, in particolare nei settori tecnologici, e a definire politiche intese a promuovere e condividere modelli delle migliori pratiche".[1]

Simona Grossi