1473 Simona Grossi Articoli
9 settembre, 2019

Riduzione dei consumi e efficienza attraverso la Sharing economy

La transizione dal modello economico lineare “produzione-consumo-smaltimento” al modello circolare non risponde più solo ad una necessità di crescita sostenibile, ma ormai anche ad un desiderio diffuso. Se da una parte rallenta o limita la pressione crescente sulle risorse mondiali e l’ambiente, dall’altra può concorrere a creare maggiore e migliore occupazione.

Questa transizione richiede la partecipazione e l’impegno di diversi gruppi di persone, e può essere favorita dagli sviluppi delle TIC e dai cambiamenti sociali. Il ruolo dei decisori politici è offrire alle imprese condizioni strutturali, prevedibilità e fiducia, e valorizzare il ruolo dei consumatori. Il mondo delle imprese può riprogettare completamente le catene di fornitura, mirando all’efficienza nell’impiego delle risorse e alla circolarità. I consumatori devono cogliere la grande portata dei benefici e dei vantaggi dei cambiamenti

Lo sviluppo dell’economia circolare può essere favorito sicuramente dal riutilizzare, dall’aggiustare, dal rinnovare e riciclare i materiali e i prodotti esistenti. Ma può anche aprire nuovi mercati promuovendo forme innovative di consumo: dalla convenzionale proprietà di prodotti o infrastrutture all’utilizzo, riutilizzo e condivisione di prodotti e di servizi.

L’erogazione dei servizi di sharing economy e pay-per-use, e anche l’offerta di piattaforme informatiche o digitali, permettono di aumentare il tasso di condivisione dei prodotti e di migliorare la loro efficienza in generale. Al momento, in Italia questo modello di mercato è ancora un’eccezione. Si sta sviluppando in questi anni nei trasporti (car/bike/motobike sharing) e nel settore degli imballaggi (per i pallet o per alcune bottiglie di vetro). Più tradizionalmente radicato è invece il mercato del noleggio di macchine per le costruzioni. Nel complesso la diffusione di queste modalità di consumo e il volume economico generato rimane comunque estremamente ridotto. E l’economia italiana non può perdersi questa occasione di sviluppo.

Uno studio interessante è stato pubblicato dalla Confartigianato[1], che ha osservato come la crescente digitalizzazione dell’economia e la sostenibilità della crescita stanno modificando i modelli di business delle imprese, con diversi gradi di intensità in relazione al comparto di attività e con una specifica accentuazione per l’artigianato. Secondo questo studio a metà 2017 in Italia risultavano:

  • 2.846.663 imprese operanti in settori legati alla Sharing economy;
  • 1.555.034 imprese operanti in comparti in cui la digitalizzazione sviluppa l’Internet delle cose (IoT);
  • 5.873.422 imprese operanti nei settori dell’Economia circolare.

Approfondendo l’esame, risultava come l’artigianato contasse 930.101 imprese interessate dall’Internet delle Cose, pari ad oltre la metà (59,8%) delle imprese nel complesso, 791.072 imprese operanti nella Sharing economy, pari al 27,8% delle imprese interessate da questo modello imprenditoriale e 535.114 imprese operanti nell’Economia circolare, pari ai tre quarti (61,3%) delle imprese operanti nello stesso settore.

Poiché le imprese possono essere interessate da uno o più modelli imprenditoriali, l’analisi è stata condotta tenendo conto di questo fattore, individuando così un totale di 3.629.763 imprese, il 59,7% complessivo, interessate da Internet delle Cose, Sharing economy ed Economia circolare.

Di questo totale 1 impresa su 3 (33,3%) è artigiana per un totale di 1.208.635 unità, raggiungendo in questo comparto una percentuale del 90,7% dimostrandone l’elasticità nell’adeguarsi alle nuove tendenze del mercato. Un quarto delle imprese italiane (24,2%) è interessata da almeno due dei tre modelli imprenditoriali in esame, fenomeno più evidente nel caso dell’artigianato: 2 imprese artigiane su 3 (69,5%) sono interessate da almeno due modelli imprenditoriali.

Approfondendo il tema della Sharing economy, i dati forniti da Eurostat sul noleggio e il leasing di apparecchiature per uffici offrono spunti di riflessione. L’Italia, tra le 4 più grandi economie europee, vanta la presenza più numerosa di imprese: 599 nel 2016 a fronte delle 287 e 276 rispettivamente della Germania e della Francia, e delle 453 (dato 2015) del Regno Unito. Il fatturato complessivo tuttavia risulta molto più basso nello stesso anno rispetto a quello della Francia e della Germania. Un adeguamento ai fatturati francesi o tedeschi consentirebbe anche di incrementare ulteriormente un’occupazione già significativa per l’Italia con 2.028 addetti nel 2016 (contro i 2.425 della Francia e del 1.967 della Germania).

Un punto forte della Sharing economy riguarda quello dei servizi di trasporto. La cosiddetta mobilità condivisa infatti offre molte alternative ed è in continua evoluzione. L’Osservatorio Sharing Mobility nel Primo Rapporto Nazionale del 2016 ha realizzato una classifica dei servizi di trasporto che possono essere inclusi all’interno della mobilità condivisa:

  • bikesharing;
  • carsharing;
  • scootersharing;
  • ridesharing/carpooling;
  • servizi a domanda (ridesourcing/TNC, ridesplitting/taxi collettivi, E-hail);
  • shuttles/navette e microtransit;
  • servizi di supporto (aggregatori/trip o journey planner e parksharing).

Bisogna notare che il fenomeno della mobilità condivisa è legato alla più complessa trasformazione del comportamento degli individui che, lentamente ma progressivamente, iniziano a preferire l’accesso temporaneo ai servizi di mobilità piuttosto che utilizzare il proprio mezzo di trasporto, fino a non possederlo affatto. Di pari passo l’affermazione e la diffusione di servizi di mobilità che utilizzano piattaforme digitali, facilitano la condivisione di veicoli e/o dei tragitti, promuovono servizi flessibili e scalabili che sfruttano le risorse latenti già disponibili nel sistema dei trasporti.

In Italia, il 2° rapporto nazionale dall’Osservatorio Sharing Mobility, registra la crescita e il rafforzamento del settore nel suo complesso, e in particolare per quanto riguarda il numero di servizi offerti. Nel triennio 2015-2017, infatti, il totale dei servizi di mobilità condivisa è aumentato mediamente del 17% all’anno. È possibile stilare una classifica regionale che vede al Sud una crescita più forte, con un balzo del 57% nel triennio considerato. Negli stessi anni sia per il centro che per il Nord Italia l’aumento dei servizi di sharing mobility è stato invece pari al 31%. Il totale dei servizi sparsi sul territorio italiano a fine 2017 era 357, con il 58% dei servizi totali nelle Regioni del Nord Italia, il 26% nelle Regioni del Mezzogiorno, il 15% al Centro e l’1% di servizi attivi su scala nazionale.

Simona Grossi